Le origini dell’Eremo

Sant’Alberto di Butrio è un’oasi di pace dove la fede, l’arte e la storia nobilitano l’incanto di una regione ancora inviolata dell’Appennino vogherese.

Quel panorama, contemplato dalle vette sovrane del Penice, del Bogleglio, del Giarolo, dell’Ebro, presenta una successione digradante di scogliere biancastre, franose, prive di vegetazione, come risultato di chissà quale cataclisma geologico.

Ma chi risale dalla pianura ha dinanzi il prospetto dei colli più esposti a tramontana e perciò ricchi di terreni coltivati e rivestiti di foltissime boscaglie.

La zona montagnosa di san’Alberto, dove il pittoresco s’alterna con l’orrido che riserva qualche volta sorprese anche ai più sperimentati, è battuta secondo le stagioni da frotte di cacciatori del genovesato, del pavese, dell’alessandrino e da solitari cercatori di funghi che ne conoscono tutti gli anfratti, tutte le coste, tutti i sentieri più minuti.

L’eremo sorge a 687 m. su di uno sperone calcareo che emerge dal fondo valle entro una verde chiostra montana. Solo il versante a nord è arido e brullo con striature di pietrisco e una stentata vegetazione di arbusti.

Su di un costone roccioso, situato a sud-est dell’eremo, torreggiava, verso il secolo X l’antico castello che diede il nome al paese e andò presto in rovina, senza lasciar traccia neppure di fondamenta. Lo separava dal monastero un breve avvallamento solcato da un torrente vorticoso, il Butrio, che gli abitanti del luogo chiamano Borrione( Burion) di fianco al quale si indica la grotta di Sant’Alberto nel punto ove sorge una cappelletta dovuta all’iniziativa di Don Orione.

Questo torrente per balzi scoscesi getta le sue acque nel Begna che solca la profonda valle posta a nord- ovest e tra dirupi arditissimi si versa nel Nizza affluente dello Staffora.

Lo sperone calcareo sul quale sorge l’eremo emerge tra le due profonde incisioni del Borrione e del Begna.

Un senso di pace e di beatitudine si comunica allo spirito dal paesaggio. Attorno ai muri grezzi della chiesa e del convento, dominati dalla torre quadrata e da un campani letto disadorno, non ci sono casa di abitazione.

Un po’ più in su è la bianca cinta del cimitero.

L’apparizione dell’eremo per chi, raggiunto da un punto d’osservazione, lo scopre un po’ più in basso della sua linea visiva in quella cornice di verde solitudine, suscita nell’animo soavi sensazioni come d’inesprimibile melodia che fa rivivere il passato.

L’incontro di Sant’Alberto vibra di più intense comunicazioni spirituali quando sul vespero il suono della campana riempie la valle e chiama sull’eremo l’oro degli astri. Si vorrebbe trascorrere la notte in contemplazione.

Solitudine, silenzio, preghiera. Solo verso sud- ovest è uno spiraglio che rompe il cerchio claustrale, e da esso s’intravvedono le montagne che s’alzano  di là dello Staffora, avvolte nella nebbia della distanza, come le preoccupazioni del mondo che qui non hanno più contorni e rilievi per chi è venuto in cerca di pace.

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