La Lettera Fieschi

La lettera descrive con dovizia di particolari l’evasione di Edoardo II dalla prigionia. Eccone un estratto:

… Un servitore si presentò al cospetto di vostro padre e gli disse: ‘Sire, due uomini sono giunti per ammazzarvi. Se lo desiderate, posso darvi i miei abiti, per beffarli’… Poi, al crepuscolo, con indosso gli abiti del servitore, vostro padre fuggì di prigione. Dopo aver raggiunto l’ultima porta senza incontrare resistenza, poiché non riconosciuto, trovò una sentinella addormentata e la uccise all’istante. Sottraendogli le chiavi dell’ingresso, scappò assieme al servitore … E dopo essere evaso … vostro padre si diresse in Normandia e di laggiù, attraversando la Provenza, ad Avignone… Poi partì per Parigi, da Parigi nel Brabante e dal Brabante si recò a Milano in Lombardia, e da Milano a un certo eremo del castello di Milascio, e siccome la guerra venne a quest’ultimo castello si trasferì al castello di Cecima, in un eremo della diocesi di Pavia in Lombardia, e vi è rimasto per due anni, facendo penitenza e pregando per voi e per i propri peccati. A testimonianza di ciò, appongo il mio sigillo perché la missiva possa essere presa in considerazione da Vostra Maestà. Vostro Manuele Fieschi, notaio di Sua Santità il Pontefice, vostro devoto servitore

La Lettera Fieschi cita il borgo di Cecima in qualità di ultimo rifugio di Edoardo II. Gli abitanti della Valle Staffora hanno sempre tramandato la storia di un re giunto a vivere nella valle, in fuga da un terribile destino, e anche la toponomastica locale parrebbe riflettere tale versione (per esempio Pian del Re o Nicarà Nicchia del Re). C’è tuttavia una differenza fondamentale tra la tradizione orale valligiana e la Lettera Fieschi. La missiva parla di Cecima, mentre la tradizione cita la splendida abbazia di Sant’Alberto. Entrambe località della stessa valle, ma allora perché la vox populi insiste su Sant’Alberto e non su Cecima? Gli storici dell’Auramala Project ritengono che la cosa possa essere dovuta semplicemente al fatto che Cecima è nei pressi del torrente Staffora, che costeggiava la strada mercantile nota come Via del Sale, che collegava il Mar Ligure alle città lombarde. Sant’Alberto, invece, è in posizione nascosta tra le colline. Manuele Fieschi potrebbe aver nominato Cecima in quanto nome più familiare a mercanti e viaggiatori. Edoardo II poteva essere a Sant’Alberto, quindi, ma l’abbazia non era molto nota ai viaggiatori. In ogni caso, perché Sant’Alberto sia associato a Edoardo II nella tradizione locale rimane un mistero. Vero è che il monastero custodisce ancora una tomba ad arcosolio – di certo appartenuta a un personaggio di rilievo poiché unico sacello presente all’interno del complesso monastico fatta eccezione per quello del fondatore – vuota, che si vuole essere stata quella di Edoardo II. Per non dimenticare il fatto che tra i santi effigiati nell’oratorio di Sant’Antonio, una delle tre chiese dell’abbazia, figura San Giorgio, patrono d’Inghilterra. L’ipotesi di un re eremita, infine, si può ben sposare al ritratto di Edoardo II che è stato tramandato: il sovrano era molto religioso, sostenne economicamente numerose chiese e monasteri (tra cui l’abbazia di Gloucester, divenuta poi cattedrale), si recò spesso in pellegrinaggio (per esempio a Colonia, per venerare le reliquie dei Re Magi) e amava trascorrere periodi di ritiro dalle paludi cortigiane presso alcuni conventi: nella pace di Sant’Alberto e dei suoi boschi di castagni, nel silenzio e magari svolgendo mansioni per lui umili, come la cura dei pollai o la coltivazione di piante officinali, potrebbe aver trovato un autentico angolo di pace, anche interiore. Tornando alla Lettera Fieschi, va ricordato che fu rinvenuta in un archivio di Montpellier, Francia, nel 1878, e il suo contenuto reso pubblico poco dopo. Fino a quella data, gli storici inglesi credevano che Edoardo II fosse morto nel castello di Berkeley nel 1327, e che non ci fossero prove che asserissero il contrario. Per cinque secoli, generazioni di storici hanno studiato la versione che fissa nel 1327 la morte di Edoardo II; perciò, al momento della scoperta della Lettera Fieschi, risultò molto difficile per loro prestarvi fede. Ne scaturì un’immediata, forte resistenza, soprattutto tra gli storici inglesi. Ancor oggi è così. Nessuna seria ricerca storica è mai stata condotta in Italia per dimostrare o meno che il sovrano sia stato qui. Sono stati analizzati gli archivi inglesi, ma non quelli italiani. L’idea di un re inglese in Valle Staffora è finora rimasta in una sorta di limbo tra folklore e storia.

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